In Carne e Ossa, 1998

Change – Studio d'Arte Contemporanea
Roma





Non credo troppo ai titoli criptici o ad effetto; perciò chiarifico subito che cosa intende dire il mio. Nel lavoro di Christiana Protto presentato allo studio Change è operato un passaggio dall' universo della fisicità a sfere simboliche del tutto proprie a quello che ironicamente Wittgenstein chiamava l'apparato cognitivo. Questa mediazione è operata depurando i moduli decorativi ottenuti per successive e insistite specularità e repetizioni dai segni iperreali della cosa in sé. Su tale soglia però non è messo ingioco solo e soltanto l'orientamento o il disorientamento psicofisico del pubblico, ma resta sospeso il passaggio fra la manualità e la meccanicità, fra la sensualità e la serialità del lavoro, dell'arte.
Su parte dunque dalla sfera corporale: ma diciamo pure dalla fisiologia dato che i pattern sulle carte da parati che riqualificano gli ambienti sono arabeschi di musculi vaccini, di macinato magro o di altra carne commestibile nella sua veste commerciale. Il pattern di partenza e un collage irregolare fatto a mano e solo poi ripetuto all'infinito; ma il senso di chiarezza improvvisa che coglie lo spettatore nel momento in cui riconosce una materia impropria come base della decorazione implode quando lo titolo "Agnes" spara indietro di chilometri le nostre congetture pulp, superficiali benché ammissibili. Il nome, femminile come in ogni campionario di parati che si rispetti, risuona molto vicino al latino "agnus" e non per caso la carne da parati in questo caso è proprio muscolo ovino. E la martire, vergine violata e uccisa a causa della sua spiritualità, è sempre associata all'iconografia dell'agnello. Decorazione e interiorità, ciclo di vita e morte, nascita auratica del segno e sua clonazione industriale, spazio intimo e sua percezione purificata. Ecco, in ordine sparso, alcuni punti fermi sui quali poggia l'esperienza nei lavori di Christiana Protto. Verifichiamoli ulteriormente.

Le immagini e le figure tratti dalla sfera semantica del giardinaggio rimandando identicamente alla punteggiatura del bricolage manuale, come suggeriva Lévi-Strauss, per una società fatta altrimenti di simboli astratti: siano essi carte stampate o linee telematiche. La stessa scelta e assemblaggio manuale di vasi in materiale sintetico tendono a produrre un effetto colonnare assertivo eppure sinuoso, gentile (in una doppia accezione decorativa e anticattolica); come di spina dorsale stilizzata.
E l'installazione risuscita memorie dei lavori con i vasi di Giuseppe Penone, dotati di valenze antropologiche distanti ma non estranee a quelle – tuttavia nient'affatto funk – della colonna di vasi che sbarra l'ingresso della galleria romana. D'altronde è piu calzante pensare che la tematica della decorazione come mediazione fra sfera muscolare-manuale e sfera simbolica-intellettiva resista e funzioni nei suoi vari gradi, dall'estroversione calligrafico-urbanistica dei giardini all'italiana, alla tensione a zero di azione-forma-pensiero nei giardini zen, passando per iconoclastia sensuale dei tappeti-giardino di tradizione araba.
La rielaborazione dei moduli decorative costituiti dalla carne e dai vasi segue infatti motivi paratattici, ripetitivi, impreziositi da valenz ipnotiche assenti dagli stessi oggetti quando sono inseriti nel flusso del vivere. Déplacement, certo, e non solo per questo cavalli di ritorno di una certa tradizione artistica. Quanto alle iconografie, pensiamo ancora alla carne, sempre insieme fisica e simbolica, nei quadri di genere tardomanieristi e barrocchi – il Passerotti della "Macelleria" fino al Rembrandt del "Bue squartato" – e piu oltre nella cultura del secondo dopoguerra fra Bacon e il primo Fautrier, passando per Hermann Nitsch e fino alle allusioni di Marc Quinn e la "pittura di genere" di Damien Hirst. La carta da parati in fine sottolinea drasticamente la vuotezza dello spazio rimanente ponendo in qualità di segno un elemento – il muro, l'architettura – che per solito è sempre e solito contesto. In parte ciò vale anche per i flussi dello squardo e del passaggio attorno al segno monofonico della colonna di vasi.

In entrambe i casi é communque ricercata una catarsi, solida eredità delle tensioni ambient, e forse involontario riferimento ai contributi teorici in ambito letterario di Hans Robert Jauss dei primi anni '70.
L'opera cerca insomma l'epifania del soggetto-fruitore e dei suoi "apparati" interpretativi in assenza di appigli narrativi, ma non in assenza di immagini.
Attraverso il libero gioco dell'arabesco (bi- o tridimensionale) sono messe a nudo le nervature di quel famoso apparato cognitivo che reagisce imprevedibilmente all'assolutizzazione dei materiali con cui è abituato a interagire solo secondo regole di giochi ben determinati. E si ricostituisce ancora una volta il filo rosso fra estetica ed etica di matrice neo-kantiana che forse è endemico nella cultura visiva tedesca (pensiamo a Beuys), che sicuramente resiste così, in questo spazio nudo dove, ugualmente messo a nudo – se le vesti sono un paludamento culturalizzato – il soggetto si rispecchia "in carne ed ossa" con gli occhi della mente. E ripensa a quello che Angioni chiamò "il sapere della mano", e risistema il fuoco della propria concezione della decorazione, dello spazio vitale, dell'aura e della spersonalizzazione.
Che lo faccia o meno è in questione; tale e però senz'altro la working hypthesis, il progetto sperimentale di Christiana Protto.


Testo di Augusto Pieroni
Dall' apparato muscolare all'apparato cognitivo passando per Bisanzio

Foto di Mimmo Capone

Catalogo CHANGE 1998
Studio d'Arte Contemporanea Change, Roma

Christiana Protto